Remmalju           

                                                                       Rimella e i suoi colori

                                                                                                                                                                                                                         

                    

                              

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Museo in

 

Rimella (Vercelli)

 

Rèmmalju ( minoranza walser)

 

Anno della fondazione 1836

ALCUNE NOTIZIE STORICHE SULLA FONDAZIONE

   La raccolta museale esistente nella comunità walser di Rimella che oggi viene riproposta all'attenzione di un più vasto pubblico, anche se può apparire modesta da un punto di vista strettamente legato alla ricchezza del suo patrimonio costituisce un esempio storico assai rilevante. È un esempio che ci aiuta a prendere coscienza della vitalità e del carattere "moderno di talune espressioni di cultura maturate nell'ambito di comunità "tradizionali” rurali o alpine che siano, che una pubblicistica frettolosa e male informata ci ha abituati a considerare assolutamente statistiche e refrattarie ad ogni nuova idea ed esperienza.

   Anche se la dinamica culturale, caratteristica di molte realtà locali nelle vallate alpine, si produce con ritmi e tempi diversi rispetto alle zone più prossime ai centri urbani, tuttavia ciò non significa che anche in queste situazioni non si attivino delle iniziative che rivelano il mutare degli interessi e degli atteggiamenti. Il progressivo costituirsi dei musei "locali", soprattutto in epoca di prima industrializzazione, è una sensibile espressione di un’apertura non trascurabile di prospettiva.

 

Il fenomeno può essere colto nel suo svolgersi considerando quanto è stato pubblicato nel 1983 nell'opuscolo curato dalla Società Storica Novarese che presenta i risultati di un primo censimento delle “Raccolte e collezioni museali del territorio nova rese e della Valsesia”. L’opuscolo in parola si pone nella duplice prospettiva di dare oltre alle notizie di carattere generale, utilissime per la fruizione di questi importanti “beni culturali”, anche una descrizione sintetica di ciascuno dei 36 musei censiti. Al tempo stesso, viene tracciata una breve storia della quale si può sempre conoscere l’anno di fondazione (riportato inesatto per quanto riguarda Rimella) e, in taluni casi, qualche notizia sparsa riguardante le persone che hanno svolto un ruolo spesso insostituibile nel dar vita ed animare queste benemerite istituzioni.

 

Nel quadro eterogeneo dei vari musei ed esposizioni di collezioni presenti nel territorio novarese e nella Valsesia, quei pochi che vantano un’origine più remota, risalgono alla seconda metà dell’ottocento. Sorsero perlopiù per volontà di persone che appartenevano ad una élite intellettuale, che si distinguono per censo e per un elevato grado d’istruzione dalla gente minuta delle comunità in cui queste realizzazioni hanno avuto luogo. Il caso del museo di Rimella costituisce sotto molti profili una vistosa eccezione, non solo perché sicuramente è la più antica istituzione realizzata nella zona, ma anche perché il popolano rimellese Giovanni Battista Filippa 1778 -1838 che lo ha ideato è un personaggio raro e singolare che appartiene alla gente comune.

 

Oggi non è agevole ricostruire e delineare i tratti fondamentali della vita e della personalità di un contadino vissuto in una piccola comunità alpina come Rimella tra la fine del settecento e i primi decenni dell’ottocento. Tale infatti era Giovanni Battista Filippa: un semplice montanaro il cui destino e le cui esperienze personali maturano, si esprimono e si intrecciano con quelle di altri uomini che come lui appartengono al medesimo ambiente e alla stessa categoria sociale. Egli nacque nella frazione Sella di Rimella il 4 gennaio 1778, primogenito di Michele Filippa ed Anna Cusa. Personaggio umile e tuttavia rimarchevole, Giovanni Battista Filippa, a differenza di quei suoi compatrioti - e non sono pochi - che nello stesso scorcio di secolo seppero conquistare posizioni di rilievo in seno alla Chiesa, alla magistratura, alle arti, alla pubblica amministrazione mettendo a frutto i propri talenti al di fuori della comunità d’origine, forse obbligato dalle circostanze, condusse un esistenza che solo per un breve periodo si discosta da quella vissuta dagli altri rimellesi suoi contemporanei. Come gli altri e con gli altri, egli fu soggetto a lottare contro un ambiente molto difficile, a procurarsi di che vivere sfruttando le avare risorse del luogo e, in età giovanile, ad emigrare periodicamente per rendere la vita meno ingrata e precaria. Tuttavia, a differenza degli altri, fu capace di guardare oltre gli angusti limiti della sua persona, a superare l’etica corrente che faceva della famiglia il centro degli interessi per porre le sue doti non comuni al servizio del villaggio, spinto dal desiderio di migliorare le istituzioni locali a van­taggio della sua gente. Questi sentimenti lo condussero a rendere testimonianza di un modo di vivere, dei valori nei quali egli credeva cercando di garantirne l’efficacia e la continuità nel tempo. La sua testimonianza, oltre ad essere quotidiana pratica di vita, si espresse in modo molto singolare. Nell’ultima parte della sua avventura terrena, ad onta del suo limitato grado di istruzione, egli decise di tenere un “resoconto”, ossia una “cronaca”, registrando con minuzia e con un modo di sentire personalissimo gli avvenimenti che riguardavano il proprio “cantone” della Sella e, per estensione, Rimella. Le “Memorie dell’oratorio della Sella ed altre memorie pratiche raccolte da Giovanni Battista Filippa” costituiscono oggi una pagina rara ed importante di storia sociale e culturale che ci consente di conoscere aspetti della vita e dell’organizzazione locale di una comunità walser all’epoca della Restaurazione. Le “memorie” del Filippa, dopo circa centocinquanta anni di oblio, sono state riconsiderate da chi scrive e pubblicate integralmente in edizione critica nel volume edito dalla “Fondazione arch. Enrico Monti” che ha per titolo: “I luoghi della memoria. Vita e cultura in Alta Valsesia nelle testimonianze del contadino rimellese G.B. Filippa (1778-1838)”.

 

Oltre alle “memorie” ricordate, che riguardano essenzialmente la comunità, oggi fortunatamente disponiamo di notizie sicure sulla sua vita privata. Tali notizie sono ricavabili da alcuni documenti personali che un certo Luigi Strambo, genero del Filippa, affidò con grande lungimiranza al Museo di Rimella. Queste fonti ci informano che il Filippa in data 7 giugno 1807 viene arruolato nell’esercito del Regno d’Italia in qualità di fante e assegnato in Milano al Quinto Reggimento di Linea appartenente alla prima Divisione. Egli par­tecipò alle lunghe e cruente campagne napoleoniche di Spagna che si protrassero senza interruzione dal 1808 al 1811. Alla fine del 1811, in seguito alle gravi infermità contratte nel corso delle stesse campagne, venne rimpatriato, riformato e congedato. Durante il ser­vizio militare egli svolse le mansioni di furiere ossia di scrivano. La normale pratica della scrittura, aggiunta alla grande curiosità che in lui doveva essere dote innata, gli garantì un grado di istruzione di gran lunga superiore a quello che mediamente avevano i suoi compatrioti dello stesso rango sociale. Ciò gli consentì di emergere sugli altri tanto che nel 1812 fu eletto alla carica di “tesoriere” dell’oratorio della Sella. Utilizzando le sue possibilità e capacità personali e forte del prestigio derivatogli dalla carica ricoperta, cercò di rianimare dall’interno la comunità rimellese che risultava cristallizzata nelle proprie abitudini e nel proprio modo di vivere torpido e ripetitivo. Per fare ciò si mosse su due diversi fronti. In un primo tempo si studiò di promuovere alcune iniziative all’interno della propria frazione della Sella. Queste tendevano a rinvigorire e stimolare gli interessi per la cosa pubblica e a facilitare l’emergere di uno spirito collaborativo. Nel

far questo egli saggiamente si appella alla tradizione e si muove con una certa sicurezza nel solco tracciato dalle consuetudini locali.

In altra circostanza, invece, egli agì con successo cercando di superare le stesse barriere sociali poste dalla frazione per aprire il campo di esperienza all’intera comunità. Si tratta in questo secondo caso di un’operazione innovativa, condotta con intelligenza e misura in un ambito culturale che non poteva entrare in conflitto con le strutture locali.

Ciò avviene intorno al 1834 quando, con grande libertà e con spirito positivo e moderno, dona alla comunità e, si badi bene, non soltanto alla gente della propria frazione della Sella, la collezione personale di monete, libri ed altri oggetti che si era procurati non senza difficoltà, oggetti che nel piccolo mondo chiuso di Rimella rappresentavano delle rarità. Contestualmente, egli diede corso al progetto che prevedeva l’allestimento, in un locale della propria abitazione nella frazione della Sella - come egli brevemente ricorda nelle sue "cronache" - di un primo nucleo espositivo che il Filippa denominò “Gabinetto di curiosità e cose rare” che successivamente verrà elevato al rango di “Museo” dotato di una propria sede. Nei progetti di Giovanni Battista Filippa, il museo avrebbe svolto una funzione molto importante: quella di stimolare la curiosità e gli interessi delle persone, specie di quelle che avevano scarse possibilità di uscire dalla comunità e di affacciarsi sul mondo esterno. Facendosi promotore di questa iniziativa, certamente molto singolare per quei tempi e per il luogo in cui si realizza, il Filippa denota di possedere una notevole sensibilità per le correnti culturali più avanzate e uno spirito enciclopedico che oggi non possono fare a meno di stupirci. Allo scopo di realizzare rapidamente quanto si era proposto, il saggio montanaro rimellese non esitò a bussare a molte porte. In capo a qualche anno, aiutato da altre persone da lui stesso sollecitate, riuscì ad arricchire la sua collezione personale di nuovi esemplari di minerali, reperti fossili, conchiglie, animali imbalsamati stanziali ed esotici, esemplari numismatici anche di un certo valore che, classificati e opportunamente ordinati, riuscivano nel loro insieme a fornire un’idea della complessità e della insospettata varietà del mondo e della natura.

Accanto agli oggetti ricordati, il Filippa ritenne di dover collocare altri reperti, idonei a testimoniare il modo di vivere nella comunità, non dimenticando che questa era collocata in un mondo molto più vasto e ben più difficile da penetrare e comprendere. Per raggiungere lo scopo egli, molto correttamente, non si limitò a raccogliere oggetti, suppellettili e strumenti, espressione della “cultura materiale”, correntemente usati nella vita quotidiana dell’angusto ambiente comunitario. Con notevole senso della realtà, egli volle fornire un “segno” delle esperienze maturate all’esterno dai migranti rimellesi segnandone idealmente i percorsi. Per far meglio comprendere come si svolgeva la vita al di fuori di Rimella, specie nei paesi stranieri, raccolse un materiale perlopiù “povero” ed estremamente eterogeneo:

conti rilasciati da locande francesi, inglesi e tedesche, opuscoli pubblicitari di varia natura, titoli di viaggio utilizzati per spostamenti in diligenza, diplomi e attestati rilasciati da enti italiani e stranieri, libri e fogli sparsi stampati nelle lingue più diverse, ivi compresa l’araba e l’ebraica e, cosa particolarmente curiosa e interessante, anche una pergamena francese con la quale, all’inizio dell’800 veniva legittimata la fondazione di una loggia massonica in Torino.

   Lì Filippa, pur sostenendo in prima persona il maggior sforzo organizzativo, sollecitò l’interessamento di notabili rimellesi e valsesiani che non gli negarono il loro appoggio. In un manoscritto non datato (conservato nell’archivio del museo di Rimella) e stilato dal parroco don Gaudenzio Cusa dopo il 1830, viene menzionata la prima cessione di oggetti fatta dal Filippa alla comunità e delineato il progetto di fondazione del museo:

“Il sig. Giambattista Filippa di questa Comunità è disposto a cedere alla medesima la sua piccola raccolta di oggetti di storia naturale, il suo medagliere, benché di poca entità, ed alcuni libri, al fine di riunirgli nel casino attiguo alla casa prepositurale, da aprirgli in occasione delle feste di concorso, come sarebbero quelle dell’Ascensione, del Carmine e di San Michele a comodo di chi bramasse di visitare questo museo in embrione, che potrà servire come di nucleo ad una raccolta maggiore e d’incentivo ad arricchirlo ad altri inclinati a simil genere di studi.

Siccome necessiterebbe una spesa maggiore di lire duecento di Milano per adattare il sito destinato a ricevere l’indicata raccolta e per la formazione delle convenienti scansie; perciò il sottoscritto, che conosce quanto è grande la generosità di questa popolazione allorché trattasi di fondare qualche stabilimento utile e decoroso al paese, si fa animo di proporre alle persone intelligenti e benefiche a voler concorrere con qualche offerta a darvi principio, trattandosi di un’istituzione nuova nel suo genere in Patria non solamente ma nell’intera Valsesia”.

   L'esortazione del parroco Cusa non cadde nel vuoto e ben presto il museo si arricchì di nuove acquisizioni pur mantenendo inalterate nel tempo le caratteristiche e le dimensioni originarie.

   Giovanni Battista Filippa si spense nella sua casa della Sella nel pomeriggio del 5 settembre 1838. Le uniche, scarne notizie che riguardano la sua dipartita, si possono ricavare dalle fugaci annotazioni del parroco Cusa nel “Libro dei Morti” della comunità. Fortunatamente oggi ci rimangono le sue “Cronache” che ci riportano indietro nel tempo e ci rimane anche il “suo” museo che testimonia il modo molto personale di rapportarsi con il mondo e con la cultura.

   Il museo segna una fase della vita nella comunità che rispecchia la realtà di un’epoca che si sembra ormai tanto lontana e che oggi siamo in grado di comprendere solo se viene letta e interpretata alla luce dei valori e della cultura in cui tale realtà si è prodotta.

Università di Torino, primavera 1985

 

                                                                                            Paolo Sibilla

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