Remmalju           

                                                                       Rimella e i suoi colori

                                                                                                                                                                                                                         

FOGGE E COLORI

NEI COSTUMI DI RIMELLA

 

   Rimella, comune appartenente alla zona più alta della Valsesia, ha conservato più a lungo di altri luoghi l’abitudine e l’utilizzo del costume femminile. Ancora oggi infatti può capitare di incontrare, nei giorni di festa, donne che lo indossano. Sostanzialmente diversa è però attualmente la motivazione dell’uso. Superato il “valore” di mezzo identificativo di una comunità e di espressione dello stato economico della famiglia, il costume è invece diventato un mezzo per il recupero consapevole dei significati più remoti e profondi che in sé racchiude. Quasi una forma di rispetto nei confronti di coloro che hanno lottato per sopravvivere in questi luoghi difficili mantenendosi fermamente ancorati alle proprie ideologie e tradizioni.

   Le prime informazioni sui costumi si possono ricavare da una attenta osservazione delle statue o delle figure dipinte presenti nelle varie cappelle del Sacro Monte di Varallo Sesia. Lenta ma continua è l’evoluzione della foggia, del tessuto e più raramente del colore nel costume sia  maschile che femminile.

   Il costume maschile era costituito da: giacchetta di mezza lana scura; panciotto di mezza lana colore dei pantaloni; camicia con collo a listino bianca; braghe corte allacciate sotto il ginocchio con stringhe di cotone rosse o verdi oppure bottoni; calze bianche sopra il ginocchio. Venne utilizzato sin dall’inizio di questo secolo; venne abbandonato completamente, al punto di perderne il ricordo e sostituito dall’abito normale, più di attualità con giacca lunga. L’utilizzo del costume femminile, invece, non venne mai del tutto abbandonato (anzi in questi anni l’uso pare sia in ripresa). E’ costituito da varie componenti ed ognuna di esse ha una tradizione ed una storia ricca di documentazione.

   Si può dire convivessero nell’uso vari tipi di camicia: la stoffa per la camicia estiva era diversa da quella invernale così come quella da lavoro, dal tessuto grosso e resistente, era diversa da quella festiva. Per quest’ultima gli esempi più antichi mostrano un tessuto di filato bianco o sbiancato di lino o canapa fine fabbricato in zona o importato. La “camisa” era probabilmente lunga fino al ginocchio e qualcuna mostra ben visibile l’accorciamento subito.

   Contrariamente alla camicia da lavoro che aveva maniche ampie e aperte, quella festiva possedeva polsini stretti terminanti con pizzo che fuoriusciva dalla giacca.

   A Rimella inoltre si è conservato l’uso del pizzo anche nel collo rovesciato. Abbondante ed arricciato, ricorda le gorgerie del ‘600 e del ‘700. Sempre in Val Mastallone compare e si mantiene l’uso del puncetto sullo scollo, sulle spalle, all’attaccatura delle maniche, eseguito con ago e filo che va dal bianco-avorio al marrone scuro.

   La “vesta” è una sottana ampia costituita da vari teli (anche oltre nove) uniti e montati a pieghe fittissime e sottili tanto da sembrare arricciati a livello della cintura. Esistono opinioni discordi riguardo il punto vita di tale sottana, poiché solo secondo l’opinione di alcune Rimellesi esso era alto, sotto il seno.

   Come in tutto il territorio alpino, la “vesta” è portata a mezza gamba.

   Nell’Ottocento il tessuto della stessa variava seguendo le stagioni: prevalentemente in mezzalana per l’inverno ed in cotone per l’estate, aveva gamme cromatiche diverse determinate anche dalla tintura piuttosto semplicistica e talvolta casalinga: il primitivo marrone – bruciato – rubino viene soppiantato dalla moda europea dell’Ottocento che tende ad abbandonare il colore per le tinte scure e per il nero. Ecco quindi diffondersi l’uso del blu, viola, marrone –nero, e nero. Quest’ultimo verrà ampiamente usato a Rimella dalle donne sposate e dalle donne anziane. Il nero verrà progressivamente considerato come colore importante, festivo: ed ecco che la “vesta” dai colori prima elencati sarà completata con la balza nera in velluto in occasione di matrimoni (abito da sposa) e battesimi. L’orlo con balza viola indicherà la vedovanza ed il lutto.

   L’orlo rosso nella parte anteriore e verde nella parte posteriore rimarrà per le ragazze giovani e confermerà la permanenza del colore nel costume dei paesi più alti della Val Mastallone.

    L’orlo al fondo della gonna andava dagli otto ai dieci centimetri di altezza ai più recenti venti centimetri.

   Sopra, ad una spanna dallo stesso vi era una piega orizzontale (basta) di due o tre centimetri, talvolta reinterpretata e trasformata in tre o più piegoline pensata per poter facilmente modificare la lunghezza del capo.

   Il bustino unito all’ampia gonna è il “casset”.

   Particolarmente aderente, era allacciato con stringhe nella parte anteriore, molto scollato e piuttosto ampio nel giro manica per consentire alla camicetta di mostrare le varie parti ricamate.

 

 

 

 

 

  

 

   Realizzato in tessuto diverso dalla vesta (panno di lana, velluto) generalmente nero, presenta però vari tocchi di colore: bordure rosse o azzurro-blu, impunture con gli stessi colori a lato delle cuciture posteriori; in alcune frazioni di Rimella si sono visti anche i quattro fiocchi di fili di seta colorati caratteristici della Val Mastallone. Solo nel caso dell’abito da lutto o per donne anziane tali colori vengono sostituiti da tinte scure.

   La pettorina, entrata nel Millesettecento a far parte del costume per distinguere le benestanti, è fortemente decorata. Passata ben presto ad accessorio decorativo e festivo, ha fondo colorato connesso agli altri colori del costume: può essere rosso, granato, blu, verde-scuro; più spesso nera.

   La giacca era probabilmente un capo stagionale ma a Rimella era indossata tutto l’anno in base alle esigenze climatiche; forse colorata negli anni più lontani per le ragazze nubili ed i giorni di festa, era ed è attualmente nera di velluto o panno talvolta ornata alle maniche con pizzo nero.

   Invece bianco in lino più o meno ricco di decorazioni era sino a tutto il Settecento il “grembiule”. Nell’Ottocento prevale l’uso dell’azzurro più o meno intenso sino a diventare nero ed il tessuto varia a secondo se feriale o festivo. Quest’ultimo è di seta, lino o lana sottile; è costituito generalmente da due teli ricamati, giuntati e fittamente arricciati in cintura; essa è completata con una coppia di nastri colorati agli estremi. A Rimella il grembiule si porta rialzato in vita, trattenuto dalle cocche inferiori ornate con nastri o fiocchetti variopinti che richiamano i fiocchi del “casset” ed i colori dei ricami del grembiule stesso che fra i due teli giuntati dà spazio ad una striscia di “puncet” a fondo rosso per le giovani e per il matrimonio; blu per le più anziane; blu e viola per il mezzolutto, nero per il lutto stretto. Sotto al seno, ove inizia il “casseet” viene normalmente posto un nastro di lana o seta scozzese (per le nozze e per i battesimi) o a righe colorate; anticamente pare si annodasse a destra (donne sposate) o a sinistra (donne nubili), ma di tale teoria nessuno più sa dare conferma. Il “ligam” scende sino a metà, talvolta sino all’orlo della “vesta”.

   Ormai difficile a vedersi anche il fazzoletto da spalle (scial) perché raramente usato anche nei tempi più remoti. Alle tinte unite (azzurro, blu, marrone, rosso, viola, nero) si preferirono ed ancora si usano i fazzoletti da testa neri o vivacemente fiorati.

   A completamento dell’abbigliamento da lavoro nei campi si usavano in passato cappelli di paglia a falda piuttosto larga (caplina).

   Anche la “tovaia” già presente nel Settecento viene ancora usata dalle donne in chiesa per le funzioni, le processioni ed i funerali. Normalmente è di lino o di canapa bianca, piuttosto ampia, priva o quasi di ornamenti. Nell’antico costume festivo e da sposa, la “tovaia” mostrava sui lati minori, a circa venti centimetri dall’orlo, ricami traforati o puncetto.

   Nel secolo scorso ed all’inizio di questo si sono succeduti anche vari tipi di calze. In passato, in inverno, erano nere di lana e neri erano anche i calzerotti senza piede legati con dei lacci sotto al ginocchio ed alla caviglia utilizzati in estate e per il lavoro. Avevano il compito di difendere dai graffi dei rovi e dalle punture degli insetti.

   Ancora ampiamente in uso le tradizionali calzature di panno fatte in casa sino a qualche anno fa. Alla frazione Prati ho avuto occasione di vedere i modelli di tali calzature gelosamente conservati da una vecchia Rimellese. Gli “scaffui” più antichi erano realizzati in tessuti di lana (spesso recuperata da abiti dismessi), di panno o più raramente di velluto, con suole costituite da più strati (sempre di panno o di feltro) fittamente trapuntate con un filo grosso di canapa e bordate con profilo bianco. Erano neri o colorati ed orlati con velluto o con nastro rosso; presentavano lacci verdi.

   Sicuramente è una impresa impossibile tracciare una unica tipologia del costume femminile di Rimella.

   Il fatto stesso che siano state condotte ricerche attente in tutto questo secolo e siano scaturite molto spesso informazioni diverse se non addirittura contrastanti, convince ancor di più della difficoltà dell’argomento.

   Va comunque sottolineato come le donne consultate in merito si siano impegnate nel “ricostruire” a loro memoria, le variazioni delle componenti del costume dimostrando come ancora oggi questo argomento sia di estrema attualità e faccia pacatamente discutere.

   Di sicuro è emerso un forte attaccamento alla tradizione insieme ad un affettuoso rispetto e ricordo per tutto ciò che la foggia ed i colori del costume hanno rappresentato e rappresentano ancora pur con molteplici variazioni.

 

Dina Rondoni Bielli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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